È auspicabile che nel dibattito sulla professione di architetto siamo coinvolte tutte le figure che si occupano di trasformazione del territorio e di Governance in generale, in quanto gli effetti delle decisioni, del lavoro e molto più frequentemente degli errori commessi, configurano il territorio che viviamo, il paesaggio che vediamo, le strutture che abitiamo. La qualità ci appare come il problema cardine e la prima considerazione a freddo, sulla quale poi ritorneremo è che se gli Ordini degli Architetti tendessero il loro sforzo verso la valorizzazione e il sostegno della qualità professionale, qualcosa dovremmo pur leggere a scala diffusa e non solo accontentarci delle eccezioni.
Concordo con i quattro (cinque) punti che il documento programmatico in progress individua come assi della consultazione, fulcri intorno ai quali interrogarsi e sintetizzare volontà e obiettivi. Dalla perequazione degli incarichi alla trasparenza, dalla correttezza delle procedure alla qualità del progetto, dal funzionamento dell’Ordine alla deontologia. Nulla toglie però che questi punti aumentino di numero o confluiscano in temi conseguentemente più estesi.
Premesso questo, e concordando sul fatto che l’azione di modifica o abolizione della legge 163 è necessaria ma lungi dal venire senza compattezza degli attori coinvolti, la prima iniziativa che appare non procrastinabile, è una profonda riforma dell’Ordine.
Innanzitutto stride il fatto che un ente autorevole e rappresentativo abbia una struttura così apicale da escludere qualsiasi posizione operativa intermedia. Un presidente, una miriade di vicepresidenti, qualche consigliere e alcuni dipendenti. A fronte di un così cospicuo bilancio annuale, qualsiasi amministrazione o istituto interessato alla produzione esigerebbe una strutturazione predisposta alla progettualità e aperta verso le esigenze mutevoli degli utenti, un organismo snello ma volenteroso di confrontarsi e proporsi in tutti i processi di trasformazione.
Un istituto predisposto alla diffusione della cultura architettonica dovrebbe limitare l’aspetto narcisistico del mettere in luce le solite emergenze, poiché corrispondono a elementi sporadici e microscopici rispetto alla grande mancanza di qualità diffusa che conforma concretamente il territorio. Pubblicizzare le brutture, indagare le periferie, analizzare gli errori progettuali. Spostare insomma, l’attenzione, dalle archistars o aspiranti tali, ai processi di analisi e sperimentazione urbana, come la creazione di Laboratori permanenti di democrazia urbana, attivi e propositivi in tante città in Italia ed in Europa.
Sarebbe auspicabile a nostro avviso, per quanto riguarda il rapporto con le PA, inserire nel procedimento di Validazione del progetto di opera pubblica, cui le amministrazioni sono sottoposte, il nullaosta dell’Ordine, in modo da incidere sui veri interlocutori delle trasformazioni urbane e ambientali e spingere nella direzione della trasparenza degli incarichi e della correttezza delle procedure senza ovviamente pregiudicare l’autonomia gestionale o interferire con l’interesse d’ufficio. Si colmerebbe quella lacuna che permette ad una enorme quantità di progetti non ricadenti in aree vincolate, di evitare qualsiasi verifica di compatibilità ambientale, di tralasciare ogni tipo di responsabilità di qualità architettonica.
Sul fronte del rapporto con i committenti, soprattutto con i privati, l’Ordine dovrebbe assumere un ruolo di tutela diretto, più consono alla funzione di una contemporanea agenzia intesa come partner, attenta ai servizi da offrire e alla qualità architettonica da assicurare.
Si potrebbe introdurre per esempio, sul modello spagnolo, l’obbligo di subordinare il rilascio di permessi e autorizzazioni all’attestazione di avvenuto pagamento al professionista incaricato; l’Ordine - di concerto con la Cassa - assumerebbe ruolo di controllo intermedio delle parcelle, assicurandone trasparenza e conformità. Si realizzerebbe così una fiscalità finalmente reale perché legata alle attività svolte e si eliminerebbe così anche la piaga dei “vecchi professionisti” che timbrano di tutto per pochi euro.
La discussione sulla riforma delle professioni nel nostro paese è in corso e necessita del nostro parere. Ci trovano d’accordo le ipotesi di: riduzione del termine del tirocinio, che non può durare più di un anno; l'introduzione di un equo compenso e la possibilità di fare stage anche nell'ultimo periodo del corso di studi; l'introduzione del concorso nazionale, per cancellare la cosiddetta realtà del “turismo concorsuale”; la riduzione della durata delle cariche all'interno degli ordini professionali e la loro limitata rinnovabilità; l'avvio di iniziative a sostegno dei giovani meritevoli che saranno aiutati dagli stessi ordini professionali ad entrare negli studi già avviati''. Sono invece ancora da mettere in luce e da regolamentare le attività riservate a determinate categorie professionali come gli Architetti, (Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) che affrontano la concorrenza sproporzionata di Ingegneri che possono spaziare dall’agroalimentare all’aerospaziale potendo nel contempo firmare progettazioni ad ogni scala.
Consideriamo, in conclusione, le proposte “operative” sopra esposte, in quanto gestibili direttamente dall’Ordine, in convenzione con i comuni, con gli altri ordini, con i Ministeri e tutti i possibili enti. Attività che, con l’obbiettivo della qualità architettonica e della correttezza dei rapporti e delle procedure, porterebbero ad una auspicabile trasformazione della professione, superando le accuse di “corporativismo e trasversalismo” che puntualmente ricadono sulle “caste” professionali, rimproverate di “difendere soprattutto le proprie posizioni di privilegio per pensare davvero ad ammodernare il sistema, a rendere il paese più competitivo, impedendo la definizione di una riforma organica del sistema professionale”. Riforma che appare necessaria e fondamentale per la maggior tutela degli interessi costituzionali del cittadino e per lo sviluppo del Paese.
Luciano Marini
Concordo con i quattro (cinque) punti che il documento programmatico in progress individua come assi della consultazione, fulcri intorno ai quali interrogarsi e sintetizzare volontà e obiettivi. Dalla perequazione degli incarichi alla trasparenza, dalla correttezza delle procedure alla qualità del progetto, dal funzionamento dell’Ordine alla deontologia. Nulla toglie però che questi punti aumentino di numero o confluiscano in temi conseguentemente più estesi.
Premesso questo, e concordando sul fatto che l’azione di modifica o abolizione della legge 163 è necessaria ma lungi dal venire senza compattezza degli attori coinvolti, la prima iniziativa che appare non procrastinabile, è una profonda riforma dell’Ordine.
Innanzitutto stride il fatto che un ente autorevole e rappresentativo abbia una struttura così apicale da escludere qualsiasi posizione operativa intermedia. Un presidente, una miriade di vicepresidenti, qualche consigliere e alcuni dipendenti. A fronte di un così cospicuo bilancio annuale, qualsiasi amministrazione o istituto interessato alla produzione esigerebbe una strutturazione predisposta alla progettualità e aperta verso le esigenze mutevoli degli utenti, un organismo snello ma volenteroso di confrontarsi e proporsi in tutti i processi di trasformazione.
Un istituto predisposto alla diffusione della cultura architettonica dovrebbe limitare l’aspetto narcisistico del mettere in luce le solite emergenze, poiché corrispondono a elementi sporadici e microscopici rispetto alla grande mancanza di qualità diffusa che conforma concretamente il territorio. Pubblicizzare le brutture, indagare le periferie, analizzare gli errori progettuali. Spostare insomma, l’attenzione, dalle archistars o aspiranti tali, ai processi di analisi e sperimentazione urbana, come la creazione di Laboratori permanenti di democrazia urbana, attivi e propositivi in tante città in Italia ed in Europa.
Sarebbe auspicabile a nostro avviso, per quanto riguarda il rapporto con le PA, inserire nel procedimento di Validazione del progetto di opera pubblica, cui le amministrazioni sono sottoposte, il nullaosta dell’Ordine, in modo da incidere sui veri interlocutori delle trasformazioni urbane e ambientali e spingere nella direzione della trasparenza degli incarichi e della correttezza delle procedure senza ovviamente pregiudicare l’autonomia gestionale o interferire con l’interesse d’ufficio. Si colmerebbe quella lacuna che permette ad una enorme quantità di progetti non ricadenti in aree vincolate, di evitare qualsiasi verifica di compatibilità ambientale, di tralasciare ogni tipo di responsabilità di qualità architettonica.
Sul fronte del rapporto con i committenti, soprattutto con i privati, l’Ordine dovrebbe assumere un ruolo di tutela diretto, più consono alla funzione di una contemporanea agenzia intesa come partner, attenta ai servizi da offrire e alla qualità architettonica da assicurare.
Si potrebbe introdurre per esempio, sul modello spagnolo, l’obbligo di subordinare il rilascio di permessi e autorizzazioni all’attestazione di avvenuto pagamento al professionista incaricato; l’Ordine - di concerto con la Cassa - assumerebbe ruolo di controllo intermedio delle parcelle, assicurandone trasparenza e conformità. Si realizzerebbe così una fiscalità finalmente reale perché legata alle attività svolte e si eliminerebbe così anche la piaga dei “vecchi professionisti” che timbrano di tutto per pochi euro.
La discussione sulla riforma delle professioni nel nostro paese è in corso e necessita del nostro parere. Ci trovano d’accordo le ipotesi di: riduzione del termine del tirocinio, che non può durare più di un anno; l'introduzione di un equo compenso e la possibilità di fare stage anche nell'ultimo periodo del corso di studi; l'introduzione del concorso nazionale, per cancellare la cosiddetta realtà del “turismo concorsuale”; la riduzione della durata delle cariche all'interno degli ordini professionali e la loro limitata rinnovabilità; l'avvio di iniziative a sostegno dei giovani meritevoli che saranno aiutati dagli stessi ordini professionali ad entrare negli studi già avviati''. Sono invece ancora da mettere in luce e da regolamentare le attività riservate a determinate categorie professionali come gli Architetti, (Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) che affrontano la concorrenza sproporzionata di Ingegneri che possono spaziare dall’agroalimentare all’aerospaziale potendo nel contempo firmare progettazioni ad ogni scala.
Consideriamo, in conclusione, le proposte “operative” sopra esposte, in quanto gestibili direttamente dall’Ordine, in convenzione con i comuni, con gli altri ordini, con i Ministeri e tutti i possibili enti. Attività che, con l’obbiettivo della qualità architettonica e della correttezza dei rapporti e delle procedure, porterebbero ad una auspicabile trasformazione della professione, superando le accuse di “corporativismo e trasversalismo” che puntualmente ricadono sulle “caste” professionali, rimproverate di “difendere soprattutto le proprie posizioni di privilegio per pensare davvero ad ammodernare il sistema, a rendere il paese più competitivo, impedendo la definizione di una riforma organica del sistema professionale”. Riforma che appare necessaria e fondamentale per la maggior tutela degli interessi costituzionali del cittadino e per lo sviluppo del Paese.
Luciano Marini
3 commenti:
OTTIMO IL RIFERIMENTO ALLA SPAGNA PER QUANTO RIGUARDA IL PAGAMENTO DELLE PARCELLE PRELIMINARE AL RILASCIO DELLE CONCESSIONI. LE TRATTENUTE ALLA FONTE GARANTITE DA PARCELLE DECOROSE E VISTATE DALL'ORDINE.
ARCH. SILVIO FRIGERIO
Luciano, mettendo il dito nella piaga quello che dici non fa una piega.
lucrezia ricciardi
Caro collega, nel leggere la tua nota ho scorto un lampo di lucidità e di sintesi. Hai infatti accorpato alcuni temi molto spinosi con proposte giuste e da noi auspicate da sempre. Inutile aggiungere che mi trovo perfettamente daccordo.
Eugenio Frollo (Liberarchitettura)
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